In bicicletta a cavallo di confini, attuali e passati, percorrendo territori contesi per secoli e che vivono ora in una pace che dura da più di settant’anni. La grande guerra è invece terminata da oltre un secolo, ha lasciato sul campo morti e feriti, ma anche una serie di importante di opere e manufatti. Strade, mulattiere, imponenti caserme, rifugi di montagna e purtroppo un numero spropositato di monumenti alla memoria, ossari e cimiteri militari.
Grande guerra in bicicletta
Uno dei fronti più importanti e dolorosi fu sicuramente quello con l’impero asburgico. Il confine con l’ex alleato fu teatro di epiche e clamorose battaglie evocate da nomi che sono entrati nel vocabolario quotidiano. Caporetto sarà quindi la prima metà di questo piccolo viaggio. Per giungere nella cittadina slovena devo semplicemente risalire l’Isonzo: fiume carico di acqua e di ricordi.
IL sacrario di Redipuglia, si presenta imponente e spettrale. Qui riposano i resti di oltre 100.000 soldati italiani. Proseguendo sulla via per Gorizia le diramazioni che si incontrano conducono a luoghi che richiamano battaglie più o meno famose. Giunto nella città friulana, passo il confine nei pressi della stazione. Nella piazza antistante sono ancora visibili i resti della cortina di ferro, ma quello è un retaggio di un’altra guerra.
Improvvisamente le rive del fiume vengono abbandonate dalla presenza dell’uomo, i boschi circostanti sono folti e appaiono impenetrabili. Ogni cima circostante è costata la vita ad un’infinità di persone. Kobarid (Caporetto in sloveno) vive di turismo proprio grazie all’Isonzo. Si può però spendere del tempo per una visita al sacrario militare che, posto in posizione sopraelevata, domina la valle.
Valle che risalgo ancora, a volte si stringe in un budello a volte si allarga e consente una, seppur accennata, antropizzazione. A Plezzo abbandono le rive del fiume per imboccare la salita al colle del Predil. Pendenze mai troppo elevate e l’ambiente selvaggio mi accompagnano sino alla vetta. Da quassù si torna a pedalare in Italia, scendendo in picchiata in direzione di Tarvisio. Tutto questo dopo aver visitato i resti del forte del Predil, posto a difesa di questo angusto confine.
Superata la cittadina di frontiera, proseguo in direzione Ugovizza, qui le alte temperature invitano alla ricerca di lidi più gradevoli. Abbandonare il fondo valle per risalire in direzione del rifugio Nordio è in realtà una scelta programmata che cade però a fagiolo. Dopo pochi e ripidi tornanti la strada si addentra in una valle di conifere, rinfrescata da una leggera brezza e priva di ogni disturbo. Dopo circa sette chilometri l’asfalto si interrompe e lascia il campo ad uno sterrato piuttosto ostico.
Il mattino seguente riprendo a salire, ma solo per qualche minuto. Quando la strada spiana lo fa in concomitanza di uno spiazzo erboso tagliato a metà da una staccionata. Devo scavalcarla e con me sollevare di peso la bicicletta per proseguire. Superare un confine di stato in questo modo, in altri parti del mondo o del tempo avrebbe sicuramente avuto conseguenze spiacevoli.
La bandiera dell’Austria sventola sulla prima baita incontrata, la striscia di asfalto che la collega al fondo valle è lunga dieci chilometri. Li percorro in mezzo a nuvole basse che occludono la vista sulle montagne circostanti. Le narrazioni sui pregi e sulle magnificenze delle piste ciclabili austriache non sono ingiustificate. Da Voralberg per oltre due ore pedalo accanto al fiume Gail, su un percorso riservato alle biciclette. Ineccepibile fino all’inverosimile, la pista attraversa piccoli villaggi alpini senza allontanarsi mai dal fondo valle e senza particolari rilievi.
Per far rientrare nuovamente in Italia devo riprendere a salire, questa volta su una salita meno isolata. Lo stradone largo e leggermente trafficato che conduce al passo Croce Monte Carnico non ha mai pendenze proibitive. Al passo riprendo il fil rouge del viaggio: le fortificazioni della prima guerra mondiale sono diventate un museo a cielo aperto, anche se la storia del colle è legata anche ad altri eventi bellici.
La discesa passa prima da Timau, piccola enclave linguistica dove la popolazione è madrelingua tedesca. Si prosegue poi fino a Paluzza dove in prossimità di un incrocio si trova la caserma Maria Plozer Mentil. Nata proprio a Timau, Maria Plozer Mentil, partecipò attivamente alla Grande Guerra come portatrice. Proprio questo le costo la vita, e le regalò il primato di essere l’unica donna a cui sia stata intitolata una caserma militare.
La giornata non è conclusa e porta ancora fatiche e memorie belliche. Fino a Ravascletto la carreggiata è larga e consente di pedalare con frequenze invidiabili, al bivio però le cose cambiano drasticamente. Proprio all’imbocco del piccolo comune carnico, con una repentina inversione inizia l’ascesa al monte Crostis. Anche questa cima fu terreno di battaglia un secolo fa.
La striscia di asfalto che si arrampica in mezzo ai boschi ha sempre pendenze in doppia cifra. Solo verso la vetta, quando il bitume lascia spazio allo sterrato, le difficoltà scemano e il panorama di apre. Il fondo non è molto sconnesso ed è agevolmente pedalabile. Sono sei chilometri di curve e insenature che tagliano a metà il manto erboso che arriva fin sulla vetta. Tutt’attorno solo qualche malga, pochi bovini e nessuna auto.
Dopo la quiete viene la tempesta. Dopo aver goduto di tanta bellezza, concludo il giro in alta quota imprecando per le difficoltà della discesa. Ripida, stretta con numerose curve cieche e alcuni tratti esposti. Il calore delle pastiglie dei freni fa il pari con quello del fondo valle, luglio si fa sentire anche in mezzo alle alpi. Per cercar sollievo e proseguire il viaggio imbocco la val Pesarina. Monotona nella sua semplicità, e affascinate per il suo isolamento sempre più marcato chilometro dopo chilometro.
Nuvole basse e poca pioggia mi accolgono in vetta alla Sella Ciampigotto, punto di scollinamento verso il Cadore. La valle è quella del Piave, fiume che non poteva mancare quando si parla di grande guerra. Longarone e le sue sofferenze, poi Belluno capoluogo di provincia ed infine Feltre prima di ricominciare a salire. La strada si infila nel fondo valle e prende quota lentamente, si cambia ancora regione entrando in Trentino, prima di giungere a Canal san Bovo. Il traffico veicolare trova qui la sua ultima destinazione, con la bicicletta posso imboccare senza divieti la via per il passo cinque croci.
Nulla di meglio da immaginare. Percorro lunghi rettilinei avvolto dalla foresta, la strada sterrata emette l’unico suono percepibile, scricchiolando sotto i copertoni. La fatica è stemperata da tanta meraviglia. Giunto in vetta alcuni bovini animano i prati circostanti, la Cima d’asta appare imponente alla mia sinistra mentre mi avvicino al termine della salita.
Foto di rito con le Cinque croci da cui prende il nome il passo e inizio l’ennesima discesa. Di fronte a me il monte Ortigara (altro monte, altra battaglia) a fare da spartiacque tra la Valsugana e l’altopiano di Asiago. Poco più a destra sullo sfondo si riconosce la statale che percorre la valle fino ai laghi di Levico e Caldonazzo.
Raggiunti i due specchi d’acqua grazie alla ciclabile di fondo valle, riprendo a salire. Fino a Carbonare nulla disturba e nulla stupisce, lo stesso si può dire della discesa in val D’astico. Ad Arsiero imbocco un piccolo tunnel sulla destra e improvvisamente, come in una magia, il paesaggio cambia piacevolmente. Carreggiata ridotta, auto assenti piccoli borghi sempre più isolati e temperature accettabili.
Il luogo appare già ameno così com’è, a Posina il senso di isolamento aumenta ulteriormente. La salita al passo Xomo è ben segnalata, ma scarsamente percorsa. Lo sforzo non è violento e in men che non si dica giungo nei pressi del rifugio. Un ulteriore bivio con ulteriore restringimento della carreggiata mi conduce a Bocchetta di Campiglia.
Il tour della Grande Guerra non poteva farsi mancare il Pasubio, le sue vette i suoi rifugi e soprattutto le sue strade militari. Quelle delle 52 gallerie è vietata anche alle biciclette, quella degli Scarrubbi è invece percorribile. Da parcheggio di bocchetta di Campiglia, dove termina l’asfalto, entrambe conducono al rifugio Generale Papa.
La prima fu costruita in fretta e furia durante il conflitto bellico per essere utilizzata al posto della seconda. Quest’ultima correva per buona parte sotto il fuoco nemico ed era diventata troppo pericolosa da percorrere.Ora è percorribile con un fuoristrada senza pericolo alcuno, i tratti esposti sono pochi, mentre le postazioni militari sono numerose e ben visibili.
Dopo una prima parte veramente dura ed sfiancante si transita in una zona più semplice molto più scenografica. Le nuvole che salgono dal fondo valle rendono tutto più epico, così come campeggiare a bordo strada proprio di fronte alle linee austriache.La parte finale dell’asperità appare come una passerella posta di fronte ai soldati austriaci e giustifica la costruzione di una strada sostitutiva. Giunto in località Porte del Pasubio, posso ammirare le montagne circostanti, il rifugio che domina la valle e il finale della strada delle 52 gallerie che ritrovo quassù.
La discesa è da eroi, o meglio sulla strada degli Eroi. Un lungo serpente di sassi e sabbia scavato a mano nella roccia che disegna una cengia interrotta solo da piccoli tunnel. Un’opera tanto meravigliosa da percorre, quanto penosa da costruire. Ritrovo l’asfalto nei pressi di Passo Pian delle Fugazze, ultimi sforzi prima del capitolo finale di questo viaggio.
Il piazzale antistante l’Ossario del Pasubio è quasi vuoto, poche anime sono giunte fin quassù in questa tiepida mattinata. Lascio la bicicletta e in rispettoso e patriottico silenzio mi avvicino all’imponente monumento. Il monito inascoltato domina sulla valle, ma non gli istinti e le brutalità umana. Dopo la prima guerra mondiale oltre 5000 soldati trovarono riposo quassù convinti di essere le ultime vittime sacrificali della stupidità della guerra. Altre guerre seguirono e altri monumenti furono costruiti. Ulteriore sconforto trovarono i morti del Pasubio, ulteriore sofferenza si aggiunse a quelle ossa, a quei teschi il cui sacrificio fu per la seconda volta sbeffeggiato.