SPOILER : questa pagina contiene fotografie scattate agli albori del digitale, povere di pixel e qualitativamente scarse.
“Lo Zoncolan, andiamo a fare lo Zoncolan! Già, ma non dovevamo andare a vedere la diga del Vajont? E le dolomiti? Ma tu non volevi scalare il passo del Rombo?” Pensieri che viaggiano su due ruote, sogni invernali, e realizzati in una torrida settimana d’agosto del 2002.
Alpi orientali
Partenza da Tarvisio, estremità a nord-est del Paese. Il percorso, tutt’altro che lineare, vuole unire tutti quei posti che per un motivo o per l’altro ci affascinano. Salite mito del giro d’Italia, luoghi che hanno fatto parte della storia del nostro paese o che ne rappresentano un’eccellenza paesaggistica.
Devo dire che la nostra avventura non comincia bene: un errore di percorso, una foratura e una salita sterrata, il Passo Cason di Lanza, non segnalata come tale, ci portano ad affrontare lo Zoncolan a tarda ora. Gigi sta male, ma non vuole rinunciarvi: ne parla da mesi e adesso siamo qui, non si torna in dietro.
Micidiali gli ultimi tre chilometri, soprattutto se si pensa al carico, al chilometraggio (avevano già 115 km nelle gambe) e a tutti gli inconvenienti già citati. Arriviamo in albergo a tarda sera e ci consola che peggio di così non può andare: la discesa oltre a due forature ha portato ad un peggioramento delle condizioni fisiche di Gigi.
La mattina seguente Gigi si è leggermente ripreso e allora si decide di continuare anche se nessuno di noi non aveva mai pensato di mollare.Si riparte alla volta del monte Rest, si supera la Forcella di Pala Barzana, e finalmente il Vajont dopo il Passo Sant’Osvaldo. Si è scritto e letto tanto di questo luogo, ma vederlo di persona gela il sangue nelle vene.
Una volta scesi nel fondo valle e superato il Piave voltandosi si può ancora vedere la diga che è rimasta beffardamente intatta. Longarone ha pagato il maggior tributo di vittime, ora è una cittadina senza storia e tradizioni, tutte spazzate dall’onda maledetta di quel lontano giorno del 1963. Da qui a Pecol, in Val Zoldana sono ancora due ore di fatica e così si arriva in albergo ancora col buio, ma senza intoppi.
Dolomiti! Svegliarsi in mezzo a questo paesaggio regala la giusta carica per ripartire, bisogna scalare nell’ordine: Forcella Staulanza, Colle Santa Lucia, Passo Falzarego, Passo Valparola e soprattutto il Passo delle Erbe. Poco conosciuto e, fortunatamente, poco trafficato si è rilevato un passo di estrema difficoltà.
La mattina seguente sono solo, Gigi se n’era tornato a casa la sera precedente come da programma. In val d’Adige pedalo in direzione nord, a Vipiteno imbocco il Passo del Giovo, altra salita con la esse maiuscola durante la quale maturo la decisione, sofferta, di rinunciare al mitico passo del Rombo: sta arrivando un brutto temporale che mi costringe a deviare su Merano.
La Val Venosta con i suoi meleti sono il giusto riscaldamento prima di iniziare l’unica salita di giornata: sua maestà lo Stelvio. Pendenze che si accentuano una volta giunto a Trafori da dove pedalo sotto una fitta pioggerellina che mi accompagnerà lungo gli irti tornanti scavati nella roccia. Raggiungo il passo posto a 2765 metri sul livello del mare e, nonostante il freddo e gli abiti bagnati, mi godo la mia piccola impresa.
L’ultima mattina inizia ancora sotto un cielo plumbeo. La pioggia bagna le prime pedalate, ma guardando lassù verso il Passo del Gavia capisco che la situazione sta migliorando. Fortunatamente non mi sbaglio e, dopo due ore di salita, sono in vetta con un bel sole che riscalda la giornata delle decine di ciclisti giunti al passo.
Da qui a casa sono 120 km di pianura controvento che mi fanno penare oltremisura. Sono le ultime fatiche di questo memorabile cicloviaggio. Memorabile per i luoghi visitati, la fatica accumulata e il dislivello affrontato. Indelebile come ogni viaggio in bicicletta, che offre sempre spunti per nuove avventure. Le strade da percorrere sono ancora molte.