L’alta di via dei monti liguri è un percorso che si snoda sulla dorsale appenninica da Ventimiglia fino a Sarzana ( io arriverò solo fino a Borgo val di Taro). La traccia è segnalata e ben descritta grazie ad una rete di volontari che ha mappato il percorso al fine di valorizzare un territorio probabilmente sottovalutato. Percorrerla in inverno mi costringe a saltare la parte iniziale, quella che sale fino a 2000 metri e che quindi soffre della presenza della neve.
Da Fossano a Colla di Casotto
In una mattinata tiepida e soleggiata lascio la stazione di Fossano per dirigermi a sud percorrendo quell’ultimo lembo di pianura che si incastra tra alpi e appennini. Superata Mondovì la strada si addentra in una valle stretta dove i raggi del sole faticano a penetrare. La pendenza sempre lieve si accentua solo dopo aver superato l’abitato di Pamparato e dove inizia la salita per la Colla di Casotto.
Poco prima di giungere al passo prendo la deviazione per il Castello di Casotto, un’antica certosa trasformata in residenza di caccia dai Savoia. Il castello che si trova in una posizione particolare, immerso nella vegetazione, purtroppo non è visitabile. Giungo al passo poco prima del tramonto giusto in tempo per trovare un posto adatto per la tenda.
Da Colla di Casotto ad Altare
Il passo è di una desolazione disarmante, un ristorante abbandonato e poco più in a là un albergo distrutto dall’oblio e dal passare del tempo. Proprio li accanto si snoda la strada che imbocco per proseguire il mio viaggio. Sarà asfaltata ancora per qualche minuto e dopo poco diventerà uno sterrato piacevole immerso in una pineta profumata.
Il percorso è spettacolare, divertentissimo ed un piacere faticare immersi nella natura senza il disturbo del traffico. In prossimità di un passo la vista si apre su un paesaggio selvaggio, chiuso solo da una leggere foschia che mi nasconde la vista del mare. La discesa presenta alcuni tratti ripidi e scivolosi a causa delle foglie accumulate durante l’autunno, ma è sempre ben tenuta e segnalata.
Tornato sull’asfalto entro a Bardineto, faccio rifornimento di acqua presso una fontana e imbocco nuovamente una strada forestale, in direzione della località Catalano. Guadagno quota con diversi tornanti e tratti impervi pedalando su una pista costruita durante il ventennio per favorire il taglio e il trasporto del legname.
Mi immergo nella la Foresta Barbottina, una delle più belle faggete d’Italia, supero un paio di deviazioni fino a quando la giungo al Colle del Melogno dove per proseguire devo attraversare l’omonimo forte. Mi sono infatti immesso su una strada asfaltata che prima si iniziare a scendere verso Finale ligure entra nell’ala sud dell’edifico, per proseguire dopo averlo attraversato.
Le ruote scorrono veloci sull’asfalto, la discesa è stretta, ma non presenta curve pericolose. Ad una biforcazione imbocco una mulattiera che, nonostante lo sconquassamento delle buche e delle pietre, risulta estremamente rilassante e divertente. Raggiungo Colla san Giacomo, dove trovo un area adatta al campeggio, ma è presto e decido di seguire la traccia ancora per qualche ora.
In un susseguirsi di boschi tagliati, strappi duri e cascine abbandonate la strada perde quota con una discesa dolce che si incunea in una valle stretta e desolata. Ho percorso quasi una quindicina di chilometri di fuoristrada quando mi trovo di fronte un ponte crollato che mi costringe a guardare il fiume bici a spalla. E’ quasi buoi e poco dopo questo fuori programma decido di accamparmi per la notte in una radura poco distante.
Da Altare a San Pietro D’Olba
La giornata parte male, meteorologicamente parlando, qualche goccia di pioggia e nuvole basse, con un umidità che entra nelle ossa e raffredda ogni migliore intenzione. Subito salita, su uno stradone asfaltato e molto ripido, poi la pendenza da un po’ di tregua, ma la nebbia oscura ogni possibile paesaggio o vista sulle montagne attorno. Si sentono le pale eoliche vorticare, ma non riesco a vederle. Devo accendere tutte le luci per cercare di essere più visibile alle poche auto di passaggio.
A causa dell’epidemia di peste suina alcuni sentieri e strade sono vietati persino a pedoni e ciclisti. Lascio momentaneamente la traccia dell’alta via dei monti liguri e proseguo su percorso alternativo. Imbocco una strada provinciale che dopo alcune cascine diventa sterrata, sale impervia fino superando un’area attrezzata e un agriturismo.
Improvvisamente una deviazione a destra mi riporta su una striscia di asfalto nuovo stretto e ripidissimo che scende in picchiata nel bosco sottostante. La strada è chiusa da una sbarra e prosegue stringendosi sempre di più fino a diventare un sentiero di catrame circondato da vegetazione sempre più fitta.
Una recinzione sulla mia destra circonda un vecchio forte abbandonato, ben visibile una volta raggiunto l’ingresso sottostante, più avanti raggiunto il Passo del Giovo dove troverò altre vecchie postazioni militari immerse però in un contesto leggermente più urbanizzato. In un paio d’ore di freddo e salita supero Sassello e giungo a Martina, località vicina a San Pietro D’Olba dove trovo l’unico albergo aperto della zona.
Da San Pietro D’Olba a Serra Riccò
In un angolo dell’orizzonte si intravvede Genova e il mare che ne bagna il porto e le spiagge. La discesa è velocissima e ben visibile, taglia la montagna a metà senza troppe curve e punti pericolosi. Per continuare la collezione di Forti militari faccio una deviazione fino a Forte Geremia, una costruzione militare di fine XIX secolo ora adibita a rifugio.
Riprendo la mia strada, dopo aver attraversato Masone riprendo a salire verso Prato Rondanino, un altipiano dove sono presenti alcuni maneggi e un orto botanico. La strada asfalta termina proprio all’ingresso di quest’ultimo, da qui un agevole sterrato attraversa una rada pineta, intervallata da alcuni prati in un paesaggio ancora una volta selvaggio e privo di ogni forma di antropizzazione.
Due tornanti in salita mi riportano sulla strada che dal Parco delle Capanne di Marcarolo conduce a Campomorone attraverso il Colle di Praglia.
Per la prima volta mi trovo a dovermi districare nel traffico, Genova non è distante e purtroppo lo si percepisce dal caos delle strade. Fortunatamente il disagio dura poco, riprendo quota attraverso strade secondarie e mi dirigo sul percorso originale dell’alta via dei monti liguri. Le restrizioni dovute alla peste suina terminano in questa zona, pianto la tenda vicino ad una cappelletta e mi metto a dormire pensando già al percorso del giorno dopo.
Da Serra Riccò a Passo delle Lame
Dalla tenda posso ancora vedere il mare in lontananza, ma anche qualche scorcio di autostrada e piccoli stabilimenti. Meglio ripartire per l’entroterra alla ricerca di pace, montagne e ancora sterrati. Vengo subito accontentato: prima uno strappo ripidissimo dove sono costretto a spingere, poi una mulattiera ed infine una statale poco trafficata che mi porta prima a Casella pedalando accanto al corso del fiume Scrivia e poi a Torriglia dove incontro invece il corso del Trebbia.
Il navigatore segnala una repentina svolta a destra, e senza nemmeno accorgermene imbocco una pista che in continua salita mi fa attraversare alcune frazioni dove attorno alla chiesa non sorgono mai più di due o tre abitazioni che sembrano disabitate.
La salita termina a Barbagelata, nomen omen, il freddo è pungente a causa dell’aria fredda che sale dalla valle sottostante, anche qui non incontro anima viva, anche se si vede un comignolo fumare. Nessuna auto nemmeno nella discesa che mi porta al Passo della Scoglina, da dove un lungo falsopiano porta a Rezzoaglio. Atmosfera da far-west dove ogni negozio è chiuso, le fontane pure e per far scorta di acqua devo chiedere ad una signora che sta rientrando in casa sua.
Con le borracce piene riprendo la mia via, asfalto fino al lago delle Lame e poi sterrato fino al Passo delle Lame. Uno dei momenti più intensi di tutta l’alta via dei monti liguri.
Tornanti, la nebbia che sia abbassa, prime tracce di neve accanto alla carreggiata, qualche escursionista ritardatario e un vento che si fa sempre più forte fino a staccare i rami dagli alberi.
Così oltre dover mantenere l’equilibrio pedalando tra ghiaia e fango devo evitare i legni a terra e stare attento che non me ne cadano altri in testa. Nonostante il passo sia riparato dalla vegetazione, il vento continua a infastidire e spaventare.
Il bivacco e le altre costruzioni presenti sono tutte chiuse, e per la notte non mi resta che mettere la tenda all’interno di una piccola cappelletta poco distante.
Da Passo delle Lame a Borgo Val di Taro
Al mattino il vento è cessato e il sole è già alto quando proseguo sullo sterrato che correndo a mezza costa rivolto a sud, attraversa pascoli di cavalli selvatici e incrocia diverse vie che risalgono dalle cittadine della costa ligure.
Un percorso estremamente interessante con un susseguirsi di scorci meravigliosi e angoli da fotografare dove la fatica è ripagata dal paesaggio e non si vorrebbe mai smettere di pedalare. La questione si complica quando una volta giunto al Passo della Spingarda, cambio versante della montagna e mi ritrovo a spingere la bicicletta nella neve per circa sei chilometri sino al passo dell’Incisa.
Neve che si alterna a ghiaccio, in un continuo saliscendi a tratti anche pericoloso. Sul percorso incontro prima un bivacco, poi alcune aree attrezzate ed infine una segheria. Ogni tanto trovo qualche tratto senza neve e riesco a fare qualche colpo di pedale, per il resto è un estenuante fatica nell’attesa della discesa e di strade migliori.
Al passo dell’Incisa la situazione migliora, la neve scompare ed inizio una lunga discesa in direzione della Val di Taro.
La mia Alta via dei monti liguri si concluderà tra poco, ripreso l’asfalto poco sopra Santa Maria del Taro, proseguo fino a Borgo Taro. Da dove un giorno non lontano conto di riprende e concludere questo splendido tracciato.