Il Cammino di Santiago è il più famoso e affollato dei cammini religiosi di tutta Europa. A piedi, a cavallo o in bicicletta viene percorso ogni anno da oltre 300.000 persone spinte da motivi religiosi, spirituali o semplicemente per godere dei paesaggi proposti e dello splendido spirito comunitario che si instaura man mano che i chilometri scorrono.
Il Cammino di Santiago in bicicletta
La tradizione prevede che i pellegrini partissero alla volta della città Galiziana partendo direttamente dalla porta di casa e utilizzando i mezzi a disposizione. Per venerare le spoglie di San Giacomo si partiva da ogni angolo d’Europa camminando per mesi, i più fortunati e abbienti invece percorrevano il tragitto in sella al proprio cavallo.
Una volta giunti a San Jean Pied de Port, sui Pirenei francesi i pellegrini proseguivano sullo stesso sentiero, denominato appunto Cammino francese. A questo si aggiunsero numerose altre vie, originate da pellegrini di altre latitudini. L’introduzione del pellegrinaggio ciclistico è di epoca moderna, tutto sommato è ancora poco diffusa e a volte mal vista dai pellegrini camminatori.
Il mio cammino di Santiago in bicicletta parte idealmente da Milano dove ricevo la Compostela, il “passaporto” dei pellegrini dove verranno apposti i timbri dei vari ostelli nei quali soggiornerò. Le prime pedalate le muovo invece all’ombra della Mole.
Ultreya!!!
Lascio Torino in direzione val Chisone, la strada è sempre meno trafficata mano a mano che ci addentra nella valle e si prende quota. Superato Pinerolo, sulla destra si vede l’imponente fortezza di Fenestrelle, seconda per lunghezza solo alla muraglia cinese.
La salita accentua le sue pendenze, ma senza particolari tratti difficili, e raggiunge i 2000 metri del colle del Sestriere. L’urbanizzazione incontrollata e disturbante impone una ripartenza veloce verso Cesana e il successivo colle del Monginevro. Breve salita che segna anche il confine con la Francia e l’ingresso nella valle della Durance.
Accompagnando il corso del fiume supero Briancon, principale cittadina della zona, e giungo sulle rive del lago di Serre Poncon. I surfisti si godono il vento, io ne soffro l’impeto e la costanza. Cambio sponda grazie ad un ponte che taglia a metà il lago e mi porta in una zona più riparata. Ora le alpi sono alle spalle e oltre ad ammirare la fiorita Provenza scruto l’orizzonte alla ricerca del prossimo obbiettivo di viaggio.
Il gigante di Provenza
Inconfondibile e imponente il Mont Ventoux domina l’orizzonte con la sua sagoma asciutta e spoglia. L’avvicinamento richiede qualche sforzo ulteriore con la scalata del col de l’Homme Mort, che appare come un macabro monito prima del grande sforzo.
La salita non ha bisogno di presentazioni o eccessive descrizioni, servono invece tanta pazienza e buone gambe per percorrerla . Gli ultimi sei chilometri, quelli privi di vegetazione, sono interminabili e battuti da un vento incredibile. Solo una curva sul percorso, pochi metri prima della vetta, per il resto è una lunga striscia di asfalto tra rocce e terra bianca. Un angolo di luna in Terra.
La vista da quassù è a 360 gradi, pulita e limpida si perde verso vette non riconoscibili. Ricompensato da un panorama d’eccezione dimentico le fatiche e mi tuffo in discesa in direzione di Avignone.
Il palazzo dei papi è poco distante, ma il poco tempo che dedico alla cittadina è tutto per il ponte. Ne sono rimaste solo quattro campate e un piccolo museo a raccontarne la storia e le particolarità. Il suo ruolo di confine e quindi di dogana lo rese oltremodo importante per la logistica dei trasporti e dei commerci. Costruito attorno al 1400 per attraversare il Rodano fu travolto dalle piene del fiume stesso diverse volte, fino all’ultima del 1669 che lo lasciò nelle condizioni in cui si trova ora.
Attraverso il fiume poco più a Sud nei pressi di Beuacaire per entrare nella Linguadoca vecchia regione francese che prende il nome dall’antica lingua parlata, le lingue d’oc e rimasta come minoranza linguistica anche in Italia. Tra i principali centri di questa regione merita una citazione, e del tempo da spendere Nimes. I monumenti di epoca romana con in primis l’arena le sono valsi l’appellativo di Roma francese, sicuramente definizione esagerata, ma non del tutto inappropriata.
Il cielo dei Pirenei
La campagna del sud di Francia è poco trafficata, le stradine secondarie regalano scorci apprezzabili, ma il meglio lo danno ancora le grandi città. Supero rapidamente la trafficata Montpellier, e dedico un pomeriggio alla medioevale Carcassonne. L’antica cittadella fortificata è un autentico gioiello di storia e architettura, che si può apprezzare bene anche sulle stradine delle colline circostanti.
Proprio imboccando una di queste riprendo il viaggio in direzione Pirenei, verso Foix e le prime salite. Superata una zona ancora ricca di vigneti e coltivazioni di bassa quota inizio la prima scalata di una certa importanza, difficoltà e blasone: il col du Portet d’Aspet.
Come la maggior parte delle salite pirenaiche non presenta mai pendenze impegnative e non raggiunge altitudini estreme. La salita in questione è totalmente avvolta dalla vegetazione e risulta quindi fresca e piacevole. Allo stesso modo il successivo col du Mentè è facilmente superabile e sopportabile.
La questione si fa seria quando si sale oltre i duemila metri e si resta esposti al sole per lungo tempo, senza trovare un minimo riparo all’ombra. Il col du Peyresourdre è uno di questi. Stradone largo e impegnativo, tornanti ampissimi disegnati in mezzo pendii erbosi, per nulla ventilati e molto caldi.
Dopo aver ripreso fiato in discesa e riempito le borracce ad Arreau è la volta di un altro mito tra i colli pirenaici, il col d’Aspin. Reso mitico dalle imprese e disavventure di Gino Bartali è un icona del Tour de France secondo solo al col du Tourmalet.
In sequenza affronto dunque anche l’ultima delle salite mitiche che mi ero preposto di fare. La partenza dolce è solo una meschina illusione della conformazione della salita. In breve tempo mi trovo sulla più ardua delle strade percorse sino ad ora. Lo stradone largo si impenna spesso con pendenze in doppia cifra, l’altitudine spoglia il paesaggio di vegetazione importante, tristemente sostituita da condomini e impianti di risalita.
Mancano ancora alcuni chilometri al passo che si trova ad oltre 2100m, ora il traffico scarseggia e la strada si arrampica in una zona rocciosa rubando terreno alla montagna e trovando un piccolo passaggio nella montagna per scollinare dall’altro versante.
La picchiata su Lourdes è lunga e velocissima, senza particolari difficoltà o automobili di troppo. Ovviamente la situazione peggiora una volta giunto nella città che ha dato i natali a santa Bernardette Soubirous.
La pastorella che vide l’apparizione della Madonna non si sarebbe certo immaginata la Lourdes che attraverso ora. Alberghi e negozi si succedono senza interruzioni, i bus di fedeli sono posteggiati un po’ ovunque, la sensazione è quella di un caos commerciale difficile da associare a qualsiasi fede religiosa.
Riparto corroborato dalla benedizione divina, addentrandomi in una serie di colline verdi e immacolate. Dolci nelle pendenze, ma spigolose nei nomi. La toponomastica dei paesi e delle località comincia infatti a risentire dell’influenza basca.
Buen camino.
Saint Jean pie de port, come detto è un il rendez-vous di tanti dei cammini che arrivano da tutto il continente e si ricongiungono in un lungo sentiero che dopo novecento chilometri di cammino e riflessioni conduce a Santiago de Compostela.
Improvvisamente si moltiplicano i camminatori con zaino in spalla, tutti con la conchiglia di san Giacomo penzolante, simbolo che riunisce tutti i pellegrini in una grande famiglia. Un grande insieme multietnico e multiculturale con viaggiatori di tutte le età, con svariate motivazioni ed una meta condivisa.
La tenda è riposta definitivamente nella sua custodia, d’ora in poi approfitterò degli ostelli dei pellegrini, dove con pochi euro e la Compostela del pellegrino si può condividere il tetto ogni notte con storie diverse e nuovi incontri.
Dopo pochi chilometri di Cammino, entrato in terra spagnola, mi imbatto in uno luogo carico di storia e misticità. Roncisvalle oltre ad un meraviglioso ostello ricavato all’interno di una chiesa, ricorda con i suoi monumenti le gesta di Rolando, che perì su queste montagne per mano delle popolazioni basche, che mal sopportavano la presenza dell’esercito franco.
Abbandonata la Francia e i Pirenei proseguo in discesa alla volta di Pamplona e la Navarra. La città dei tori e delle corride precede il passaggio a Puente de la Reina, punto di unione del cammino francese con quello aragonese. Attraverso il ponte romanico che immagino costruito in onore di qualche regina e proseguo in direzione Logrono, capitale de La Rioja.
Su questa via tutto ruota da secoli attorno al passaggio dei pellegrini, lo testimonia il paese di San Domingo de la Calzada. Cittadina nata attorno alla casa dell’eremita Domingo che in tempi remoti si preoccupava di mantenere in buono stato la carreggiata (calzada) in favore di chi la percorreva in direzione Santiago.
Direzione che viene costantemente indicata dalle numerose conchiglie gialle su sfondo blu che si trovano riprodotte ad ogni incrocio, deviazione o sentiero. Sempre seguendo queste indicazioni raggiungo Belorado in tempo utile per la notte. L’ostello è stato ricavato all’interno di una chiesa sconsacrata, con la sacrestia adibita a spazio comune e i letti sparsi nell’edificio.
Dopo il benedetto riposo si riparte alla volta di Burgos. Superato il monte de Oca e passata una breve discesa affronto la parte iniziale di una meseta lunga 250 chilometri tutti ad oltre 800 metri sul livello del mare. La città, di origine militare, conserva una splendida cattedrale ben visibile dal mirador dell’attiguo castello.
La vista si apre anche alla campagna circostante brulla, arida e con pochissimo traffico. Un continuo mangia e bevi per nulla impegnativo e avvolto nel silenzio più assoluto. I villaggi sono sempre rari, il più importante tra quelli incontrati è Fromista, spezzano la monotonia e consentono di rifornirsi di acqua.
Al termine di questo altopiano iberico giungo ad Astorga. Al tramonto il sole colora romanticamente di rosso il palazzo episcopale, dove nelle linee si riconosce facilmente la mano di Gaudì.
Superando con lo sguardo le guglie del palazzo si notano le prime montagne dopo tanta pianura. Dopo Astorga il cammino prosegue infatti ancora una volta in salita verso uno dei luoghi simbolo dell’intero pellegrinaggio. In vetta al colle si trova infatti la Cruz de Hierro, una croce alta diversi metri dove i pellegrini sono soliti lasciare ai piedi una pietra portata durante il viaggio. La pietra, o a volte un oggetto personale, rappresenta i peccati del pellegrino, e quindi tanto più è pesante tanto maggiore sarà la penitenza per il peso trasportato.
La successiva discesa su Pontferrada è solo un preludio alla serie di colli da superare in successione. Tutti caratterizzati da pendenze dolci e una vegetazione ordinata e geometrica. Appaiono numerosi i terrazzamenti coltivati tagliati da una miriade di stradine di campagna. Le nuvole coprono l’orizzonte e la vista su Santiago ormai vicina è solo immaginabile.
Alto do Pedrafita, alto do Pedreiro ed infine Alto do san Roque, dopo queste salite mi aspetta una lenta , ma lunga discesa. Il traffico aumenta una volta tornato sulla strada principale, così come la presenza di negozi di souvenir. Mano a mano che ci si avvicina alla meta finale il cammino perde un po’ l’anima mistica e spirituale per assumere quella commerciale e turistica. Nulla di inaspettato.
Santiago non è la fine della strada, è l’inizio.
Le guglie della Cattedrale de l’Obradorio appaiono all’orizzonte a caratterizzare lo skyline di Santiago. Per raggiungerne il piazzale anteriore occorre districarsi tra le viuzze della città galiziana e superare i numerosi pellegrini giunti sin qui a piedi. Parecchi di loro manifestano segni di commozione nei loro occhi, e un incedere frettoloso nonostante le fatiche accumulate.
La cattedrale rapisce lo sguardo. E’ cupa nei colori, severa nelle architetture, ma per tutti è una meta agognata, una stella cometa raggiunta a forza di fiacche ai piedi o di crampi ai polpacci. Qualcuno ride, qualcuno chiama casa, altri restano per minuti a fissare l’enorme edificio probabilmente ripensando ai giorni trascorsi in viaggio oppure al motivo che li ha spinti a tutto ciò.
Ognuno si gode il momento a modo suo e con la propria intimità di credete, pellegrino o semplice viaggiatore. Le conchiglie gialle di Santiago non sono però terminate, il viaggio ha una piccola appendice, un centinaio di chilometri in terra galiziana sino al chilometro zero, alla fine delle terre emerse.
Finisterra è l’ultimo lembo di Spagna, il punto più a ovest, la strada e il mio viaggio terminato su un promontorio, all’ombra di un faro. L’atlantico immenso di fronte, come cantava Guccini, non un punto di arrivo, ma fonte di l’ispirazione per nuovi viaggi e nuove avventure.
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