Da Trieste a Riga in bicicletta
Il mare, la mia insegnante di inglese ed Auschwitz. Tre cose che apparentemente non hanno nulla in comune, ma che in realtà sono le basi che hanno fatto nascere questo cicloviaggio. Un viaggio dall’Adriatico al Baltico, la visita ad Oswiecim (nome polacco di Auschwitz) e un salto a Riga, città natale della mia professoressa. Cartine alla mano, è stato sufficiente tirate una traccia (o meglio una Riga) aggiungere qualche deviazione per rendere il tutto più accattivante ed ecco preparato un cicloviaggio.
Trieste-Kamnic
L’obelisco di Trieste si scorge appena dall’uscita del campeggio. Il golfo è più in basso, da un lato il porto industriale e dall’altro le coste croate si perdono all’orizzonte. E’ questa l’immagine della partenza, di questo viaggio in solitaria con i consueti mille dubbi e preoccupazioni scemeranno man mano che i chilometri scorreranno sotto le ruote.
Pochi metri di salita, una curva a destra e lascio tutto questo alle spalle oltre il confine. Strade pulite, ordine urbano e rispetto per chi pedala: una caratteristica che gli sloveni hanno ereditato dai vicini austriaci. In una deserta Postumia mi ritrovo a mangiare il mio panino su una panchina, tra l’indifferenza dei pochi passanti e lo sguardo affamato di un cane che mi fissa e quello seccato del suo padrone che vuol proseguire.
La strada verso Lubiana corre parallela all’autostrada, ed è quindi orfana del traffico pesante e dei vacanzieri rivolti verso est. L’ombra delle numerose e ordinate foreste, rendono la giornata piacevole. Quasi non ci si accorge dei chilometri che passano e delle temperature agostane. Dalla periferia della capitale vengo accompagnato in centro grazie ad una pista riservata alle biciclette.
Isole pedonali, trenini su gomma, stazioni per il bike sharing, negozi, gelati e tanto ordine di origine asburgica. Salendo al castello posso vedere scorrere il fiume Ljubljanica e alzare lo sguardo verso le montagne della Savinja. Gli ultimi chilometri li pedalo in direzione di Kamnik, una piccola cittadina medioevale, dove la piccola sagra di paese mette appetito per il persistente profumo di crauti e maiale arrosto.
Kamnik-Maribor
Lo scorrere del fiume a pochi passi dalla tenda non ha disturbato il mio sonno, così come il pensiero della prima salita del viaggio: i 658 metri del Prelac Koziak. Il paesaggio allevia le fatiche della strada che si inerpica anche con discrete pendenze. Piccoli orti e qualche villaggio qua e là e la compagnia di mucche pezzate al pascolo.
Mi godo la discesa prima di finire sulla statale, leggermente più trafficata, che mi condurrà al centro di Celje e da qui a Maribor. Purtroppo la mia cartina non parla, non mi può dire cosa mi aspetta. Per almeno due ore mi trovo invischiato in una serie di sali scendi impressionanti per pendenza e continuità. La temperatura e la mancanza di acqua non aiutano ad affrontare questo sforzo inaspettato.
Incrocio almeno quattro volte i binari della stessa linea (che tentazione) e cartelli che minacciano pendenze da capre e tornanti da capogiro. Attraverso la Drava e la famosa ciclabile e sono finalmente a Maribor.
Maribor-Bruck an der mur
Qualche pedalata ed entro in Austria,dopo aver passato una dogana tanto grande quanto inutile. Subito un cartello mi invita nella radweg 2, una delle molteplici piste ciclabili che fanno dell’Austria uno dei paesi più bike-friendly d’Europa. Posso permettermi il lusso di togliere il casco e pedalare in tutta sicurezza attraverso fitti boschi e aree attrezzate. Incrociare pescatori, famiglie intere in bicicletta e una miriade di indicazioni e informazioni.
Impossibile perdersi, la traccia mi porta diritto nel centro di Graz. Pranzo ai piedi della torre dell’orologio, in compagnia dei numerosi tram e incuriosito da insoliti bike-taxi. Riprendo la ciclabile che si fa sterrata per alcuni chilometri per poi confluire in una statale che risale la valle del fiume Mur. Anche qui la vicina autostrada rende le mie pedalate più sicure e solitarie, di contro i pochi paesi lungo la strada si sono spopolati e offrono quindi pochi punti di ristoro.
In uno di questi trovo alcuni anziani, forse alticci, bere birra e giocare a carte seduti ad un tavolino a bordo strada. ”Italianen fascisten” mi apostrofano, meglio proseguire indifferenti. Pochi chilometri ed eccomi a Bruck an der Mur dove questa sera c’è un concerto dei Ricchi e Poveri. Un motociclista tedesco rinuncia al dialogo adducendo il fatto che nessun italiano parla bene l’inglese. Sono stanco, vittima per due volte di pregiudizi al limite del ridicolo e della calura.
Bruck an der mur–Vienna
Oggi mi attende la salita di Semmering, località famosa per le prove di coppa del mondo di sci. Prendo la radweg 5, ma solo per pochi chilometri: ai continui saliscendi e ripetute deviazioni, preferisco la strada statale. Il traffico è comunque impersistente, le pendenze miti , e il vento stranamente a favore.
Tutto ciò mi consente di raggiungere in breve la vetta. Mentre riprendo fiato constato che l’eccessiva cementificazione ancora una volta deturpa e disturba. Dopo tanta fatica mi aspettavo qualcosa di più interessante da vedere. Mi butto rapido in discesa che ,lunga e priva di pericoli, mi accompagna sin quasi alle porte di Vienna.
Foto di rito con il cartello Wien. Mi trovo in una delle più grandi metropoli d’Europa e attraversarla non sarà sicuramente una cosa da nulla. Il fascino della vecchia capitale rimane immutabile nel tempo e meriterebbe sicuramente maggio attenzione. Dopo una rilassante e fresca pedalata nel parco del Prater, attraverso il Danubio, lungo un ponte a due piani: sopra automobili e sotto biciclette.
Vienna-Stara Turà
Campagna austriaca, viti, girasoli e le montagne slovacche sullo sfondo. Pedalo in cerca di un punto per varcare il confine con la Repubblica slovacca. I problemi, non sono di natura politica , ma stradali. Durante la guerra fredda, le strade per varcare il confine erano poche e quasi inutili. Con la caduta della cortina di ferro non ne sono state aggiunte di nuove, così mi trovo a disegnare una zeta sulla cartina per poter entrare in Slovacchia.
La strada non offre spunti degni di nota e prosegue solitaria in mezzo a campi incolti. Superata qualche postazione per bird -watching appare un cartello di confine e soprattutto un bunker militare. Cambio nazione con una facilità che solo trent’anni fa era inimmaginabile. Sono curioso di vedere, di capire un po’ la Slovacchia e i paesi che hanno vissuto per decenni all’ombra dell’ Unione Sovietica.
Attraverso il paese di Kuty. Ciottolato sconnesso e vecchio di decenni, auto da film russo anni 60, case tutte uguali, galline che razzolano per strada e canzoni popolari diffuse dagli altoparlanti per tutta la lunghezza del paese. L’arretratezza incontrata nelle infrastrutture, la ritrovo anche nel costo della vita. Al campeggio di Stara Turà quasi mi vergogno nel pagare la cifra irrisoria richiestami dalla proprietaria.
Notte travagliata. Un gruppo di ragazzi arrivati a tarda ora non vogliono dormire. Dopo tocca ad un temporale tenermi sveglio. Sono ormai le 6,00 e tanto vale svegliarsi e preparare con calma la partenza. Medito un piccola vendetta nei confronti dei rumorosi vicini: posso fare anche io un po’ di baccano e disturbare il loro sonno. Resto però di sasso quando, uscendo dalla tenda, li trovo già svegli a fare armi e bagagli. La cosa più sorprendente è che si tratta di colleghi! Cicloturisti estremi, se considero che hanno dormito al massimo un’ ora in tutta la notte e bevuto una abbondante quantità di birra. Mi li detestavo, ora li invidio.
Stara Turà-Skalitè
Secondo la tabella di marcia questa sera , causa assenza di campeggi, dovrei dormire in albergo con l’intento anche di recuperare le ore di sonno perse la notte scorsa. La partenza è di quelle che demoralizzerebbero anche il più perverso e sadomasochista dei cicloturisti: mi immetto sulla statale e subito un cartello mi annichilisce: “ Zilina 120 Km”.
Pronti via ed un biker locale si offre di scortarmi per alcuni tratti consigliandomi alcune scorciatoie ciclabili e una strada parallela meno trafficata anche se non segnalata. Gentilissimo prosegue oltre il dovuto ed ha pure la pazienza di mettersi in posa per una foto con me. La strada costeggia la montagna qualche leggero saliscendi, paesini quasi deserti e traffico assente, se non quello ciclistico.
Dopo qualche decina di minuti cambio compagno di viaggio. Si tratta di un operaio che torna a casa per il pranzo e pedala su un mezzo datato e riadattato alle sue esigenze. Sulla ruota posteriore, sopra il portapacchi, sono stati adattati un pannello di polistirolo di dubbia utilità ed un cestello piuttosto ingombrante. Al suo interno un piccolo tesoro gastronomico: due birre, una bottiglia di latte, pomodori, un salame e una pagnotta in bella esposizione.
Un lago formato dalla diga sul fiume Vah spezza un po’ la monotonia del paesaggio, guardandomi attorno mi sembra di notare una Slovacchia diversa da quella di Kuty. Avvicinandomi ad una grande città come Zilina e alle montagne, il turismo e la mondanità hanno contribuito a dare un tocco di modernità in più a tutto ciò che incontro: dalle automobili ai negozi, dalle strade all’abbigliamento delle persone. Persino i cartelloni pubblicitari ricordano quelli delle grandi multinazionali.
La gamba gira senza eccessiva fatica, le borracce sono piene e l’umore è alto; tutti fattori che mi spingono a proseguire in direzione nord verso la Polonia. Dopo essermi assicurato di trovare ancora da dormire salto anche l’ultima grande cittadina della Slovacchia e dopo una breve salita entro a Skalitè. Si tratta di un piccolo villaggio a vocazione turistica ad un passo dal confine, diverse locande, qualche negozio e un numero imprecisato di bar, tutti deserti. Capisco poi che tutti gli abitanti si trovavano tutti nel mio albergo quando al mio arrivo interrompo, solo per qualche istante, i festeggiamenti di un matrimonio.
Skalitè–Katovice
Forse una giornata di sole avrebbe travisato la realtà. Forse avrebbe reso meno lugubre e tetro un luogo tanto famoso quanto carico di tristi emozioni come Auschwitz. Il cielo è coperto, cupo, non dà speranze. Ieri in Italia ha piovuto tutto il giorno e probabilmente è la stessa perturbazione che sta salendo verso nord-est.
Deve essere questa la giornata storta che bisogna aspettarsi in ogni viaggio. La pioggia cala, faccio le prime pedalate, poche centinaia di metri e sono in Polonia. Percorro innumerevoli saliscendi in questa valle tra i monti Tatra ricoperta da nuvole basse. Pozzanghere e vento freddo che soffia in faccia, non fanno che peggiorare le cose. L’abbigliamento da pioggia è appena sufficiente per contenere il diluvio successivo.
l laghi sono di color marrone e gonfi d’acqua, i boschi impenetrabili labirinti di muschio e umidità. Il mio sguardo è concentrato sulla strada, scivolosa e spesso allagata. Una volta giunto in pianura vado alla ricerca di Auschwitz. A segnalarne la vicinanza trovo solo un piccolo pannello marrone a Oswiciem (nome polacco di Auschwitz). Diversi chilometri di reticolato e torrette scorrono accanto a me, con la pioggia che ha concesso una breve tregua. Svoltato l’angolo e mi trovo di fronte ad un piazzale zeppo di pullman, gite organizzate e turisti di ogni nazionalità in coda all’ ingresso. Passo oltre, e mi avvio verso per il poco distante campo di Birkenau.
Binari banali, normali, come quelli di mezzo mondo, ma con un qualcosa di tetro quasi famigliare, di già visto. Una striscia di asfalto nella campagna polacca un passaggio a livello e riecco i binari, corrono paralleli alla strada e sullo sfondo appare l’ entrata di Birkenau. Immagine tristemente conosciuta che mette i brividi anche se ha smesso di piovere e non fa freddo. Il pensiero corre, forse un po’ retorico, a chi ha percorso questi ultimi metri di via ferrata con la paura negli occhi ed il destino segnato.
Katovice– Piotrkow Trybulnasky
Katovice: un’ edicola con esposti quotidiani e cavolfiori (immagino di propria produzione), un tram che si regge a stenti quasi investe un Suv fresco di concessionaria e oltre una strada ciottolata, una zona commerciale degna di qualsiasi città italiana: supermercato, articoli sportivi, bricolage e giardinaggio. Resto senza parole. Noiosa pianura , dove l’unica cosa da fare è contare i chilometri mancanti a Chestokova.
Vi giungo per pranzo e mangio qualcosa godendomi la vista da Jansa Gora, la collina dove sorge il santuario della Madonna Nera. Un viale lungo un chilometro con diversi pellegrini armati di zaino e bastone, suore impegnate al cellulare e cani annoiati mi conduce fuori città. Riprendo seguendo la linea che da sud-ovest taglia in due la Polonia verso nord-est.
Sotto l’ennesimo scroscio di pioggia incrocio due donne in bicicletta. Impacchettate come due caramelle pedalano indifferenti, ed immerse nella loro routine. Credo non possano capire il mio spirito, io rispetto il loro pedalare, permeato di necessità e abitudine, sicuramente privo di passione. Durante una sosta per l’incedere della pioggia, ho la fortuna di scambiare due parole con Piotre, un ragazzo polacco, che ha lavorato diversi anni in Italia e che parla un buon italiano.
Canottiera blu e borsa della spesa, aspetta il suo pullman per tornarsene a casa dopo il lavoro. Dopo anni a girovagare l’Europa ha finalmente trovato occupazione vicino a casa. Mi parla dei numerosi imprenditori italiani che stanno comprando terreni in Polonia per potervi trasferire le loro imprese. Sono arrivato nella delocalizzazione.
Piotrkow Tribunalsky–Varsavia
“Trentino wloska roskosz “ che deve suonare come qualcosa del tipo “visitate il Trentino” o simili. Trovo questa scritta su un bel cartellone sei per quattro in mezzo alla pianura polacca. Capisco che i polacchi non sono solo badanti e operai, ma anche un popolo che sceglie l’Italia per le proprie vacanze.
La giornata è soleggiata, ma fresca rende tutto sommato piacevole. Ho constatato che il confine valicato sui monti Tatra non è solo politico, ma divide l’Europa anche climaticamente. A sud temperature africane, sole e piogge scarse, a nord temperature primaverili, giornate ventilate e frequenti precipitazioni.
Il Palazzo del Belvedere, quello che si vede sulle bottiglie di vodka, accanto ad un grattacielo di qualche colosso dell’ elettronica, è l’immagine che mi resta della visita di Varsavia. Seguiranno lunghi viali con gli alti edifici del passato regime. Il muro del ghetto ebraico nel centro storico e poco fuori città i cantieri in vista degli europei di calcio del 2012.
Varsavia–Goniadz
Più che una giornata in bici è stata un’ odissea di 210 chilometri: due forature, una rottura di copertone, due temporali, un inseguimento canino, una caduta, due alberghi pieni e un tratto di ciottolato con bici spinta a mano. Esco dall’albergo alle 7.30 vento a favore, velocità costante, fatica ridotta, a mezzogiorno sono già 110 i chilometri percorsi. Il cielo butta ancora acqua, le strade peggiorano, e il traffico diventa quasi solo quello dei TIR diretti a nord.
Pinete e boschi per lunghi chilometri offrono funghi e frutti di bosco che i polacchi raccolgono e vendono a bordo strada. Finferli e Iveco, mirtilli e Scania per un intera giornata. Una fessura nell’asfalto larga come un copertone e lunga diversi metri mi fa perdere l’equilibrio e in attimo sono a terra con tutte le borse sparse. Bagnato e spaventato mi rialzo. Tra l’indifferenza degli automobilisti, dopo una breve verifica dei danni sorrido per il pericolo scampato.
Solo tanta paura. La cartina consiglia un percorso alternativo con passaggio a Tycocin sede di una delle più grandi sinagoghe della Polonia. Il paese è bellissimo e merita la visita nonostante il fastidioso ciottolato. Mi fa compagnia un cagnolino inzuppato e solitario che cammina con me per qualche minuto. Non è nemmeno parente di quello che qualche chilometro dopo mi inseguirà, nervoso e cattivo con delle intenzioni che fortunatamente non ho verificato.
Stanco e sfinito dalla giornata funesta cerco una stanza al prossimo albergo. “Full” come pure quello successivo. Il risultato: 210 chilometri di fatiche per giungere ad un hotel sperduto in mezzo al parco Narodowy. Un numero infinito di laghetti che si perdono a vista d’occhio per chilometri e chilometri e, sullo sfondo, pinete dove all’interno vivono gli ultimi esemplari di bisonte europeo.
Goniadz–Wigry
I chilometri di ieri sono tutti nelle gambe, li sento al mattino. Faccio colazione con pane e acido lattico. La giornata si preannuncia dura, per cui cartine alla mano, decido di accorciare il tragitto. Devo innanzitutto trovarmi un meccanico per acquistare delle camere d’aria di scorta e farmi dare un’occhiata al mozzo posteriore cigolante.
“Nervoso amico? Nervoso?” Andrea, il meccanico che trovo a Grajevo percepisce che non mi fido molto dei suoi metodi e della sua eccessiva calma nel maneggiare la mia bicicletta. Ha trascorso diversi anni in villeggiatura nel Lazio, ha quindi imparato alcune parole e diversi insulti che urla al figlio che se la ride più di me. Vende motoseghe e macchine da giardinaggio. In una vetrinetta espone cambi di bicicletta che usavo 10 anni fa.
Ha le camere d’aria che servono a me, anche se necessitano di un piccolo aggiustamento della ruota. Lo esegue con la concentrazione e la serietà di un chirurgo, come se avesse tra le mani un corpo umano, ma ho comunque qualche timore. Alla fine compie egregiamente il suo lavoro, facciamo una bella foto ricordo e lo saluto sorridente e rinfrancato.
Ad Augustow ,città termale di pochi abitanti vengo a conoscenza di Wigry. Un piccolo gioellino in questo remoto angolo di Polonia. Per raggiungerlo devo pedalare su un lembo di terra che emerge in mezzo all’acqua. Una volta terminata la strada ci si trova in una piccola Mont Saint Michel senza la speculazione turistica, senza sfarzi e senza caos. Un monastero, un piccolo bar ed un campeggio con una tenda in riva al lago ( la mia), pochi camper e niente più. Alle 9,00 di sera dormono tutti e io mi adeguo volentieri.
Wigry–Kaunas
Al mattino Wigry è ancora più bello. Salgo sul campanile del monastero, e da quassù posso rendermi perfettamente conto che sono quasi su un isola. Specchi d’acqua fino all’orizzonte intervallati da strisce di terra, sottili che sembrano galleggiare. Nessun rumore. Non c’è nemmeno il vento a muovere le foglie. Scatto una serie infinita di foto, convinto che comunque non renderanno mai l’ idea delle sensazioni che ho potuto godermi in questo piccolo paradiso.
Saluto la statale 8 e prendo quella che a breve diventerà una mulattiera, ricca di saliscendi e tratti in cui ad ogni bivio ci si affida all’istinto. Poche costruzioni, qualche capanno nei campi e diversi abbeveratoi anche se non si vede bestiame. Poi finalmente un casolare che sembra abitato. Entro nel cortile per chiede lumi sulla strada.
Due uomini, forse fratelli, ed una donna anziana, la mamma, sono concentrati nella macellazione di un maiale. Interrompono il rito per aiutarmi. Non ho sbagliato strada fortunatamente. Chiedo di fare qualche foto, ma si vergognano; così tra i miei ricordi ho la foto di un maiale morto e di un’anziana che si copre il viso, mentre si ripara dentro casa.
Lituania, il paese delle croci: se ne contano almeno 5 o 6 a chilometro senza includere le cappelle votive e le chiese. Kaunas non offre particolari bellezze. Il campeggio cittadino è posto sotto un cavalcavia dell’autostrada e mi riserva un felice incontro. Incontro Sophie e Daniel, svizzeri di Berna, 17 anni lei 21 lui, hanno iniziato il loro ciclo-viaggio in Finlandia un mese fa con destinazione Atene. Senza programmi senza fretta, ma attrezzati di tutto punto.
Regalo loro le mie cartine della Polonia, mi offrono un caffè preparato con la moka, ci scambiamo consigli, impressioni ed indirizzi. Il loro viaggio finirà in Serbia a metà ottobre. L’inverno incombe e la Grecia è ancora lontana, ma sono le persone più felici del mondo. Li ammiro ed un po’ li invidio.
Kaunas–Pasvalis
E’ stupido e forse un po’ infantile, ma i due ragazzi mi mancano già, li ho conosciuti da poche ore e probabilmente non li rivedrò mai più. Forse in qualche foto o cartolina che ci scambieremo, eppure il distacco pesa. Forse, inconsciamente, prevale già la consapevolezza dell’addio, oppure il fatto di aver trovato la giusta compagnia per una serata. Riprendere soli diventa per la prima volta un peso.
”The show must go on”, non ho alternative, riparto. Gli spazi si dilatano e anche qui, come in Polonia tra un paese e l’altro ci sono 10-15 chilometri di nulla, prati incolti, strette mulattiere sterrate che si diramano verso il nulla, rare mucche al pascolo e camioncini catapultati dalla macchina del tempo. Un chiosco di legno, in centro città è l’unica opportunità che ho per comprare qualcosa da mangiare, In pochi metri quadrati sono esposti i più disparati generi alimentari e non.
Esco e trovo quattro bambini attratti dalla mia bici. E’ parecchio carica, ma credo siano più attratti dalla disposizione disordinata di biancheria che asciuga e bottiglie di acqua incastrate ovunque. Uno di loro indossa una maglietta del Milan, e quando vedono la macchina fotografica sono già in posa, sorridenti e con l’indice e il medio fanno il segno della vittoria.
Il prossimo incontro sarà invece ancora ciclistico. Noto una sagoma, abbondante, sgangherata, deforme appoggiata ad una panchina, man mano che mi avvicino ad essa capisco che si tratta di una bicicletta caricata in maniera stravagante. Li accanto un ragazzo con degli occhiali da sole e delle infradito ai piedi.
Mi fermo, facciamo due parole e mi racconta che sta tornando da Capo Nord. E’ polacco e tra pochi giorni sarà di nuovo a casa. Sta mangiando: in un grosso sacchetto di plastica trasparente c’è della pasta cotta. Sarà almeno un chilo, e delle palline marrone che sembrano crocchette per cani. Con un cucchiaio da minestra mangia quel composto indescrivibile. Suppongo che gli basti per almeno 2 giorni. Non faccio domande, ma immagino che sia una tecnica che usa per risparmiar tempo. Originale, ma sicuramente discutibile.
Pasvalis–Riga
Pronti via e mi trovo di fronte ad un cartello rassicurante: Riga 109 km. Quindi è quasi fatta, tutta pianura , posso arrivare in città nel primo pomeriggio e godermi una giornata da turista , senza la frenesia della tenda, del bucato o del pensiero del giorno dopo. Sono gli ultimi chilometri, me li devo bere velocemente e assaporarmi il Baltico, la città, i lettoni, le onde e la sabbia. Aspetto questo momento da parecchi tempo, ma è solo una mera illusione. Passo il confine lettone e mi accorgo che la situazione cambia.
Cresce il traffico e da una rapida occhiata si percepisce anche una superiore qualità della vita. Mi ero fatto l’idea che le tre repubbliche baltiche fossero degli stati fotocopia, sbagliavo. Mentre la Lituania appare il classico stato ex-comunista dove la libertà di religione ritrovata ha prevalso sullo sviluppo economico ed industriale, una volta entrati in Lettonia tutto appare differente. Aumenta il caos, soprattutto in prossimità di Riga, metropoli moderna nonostante i palazzi e le costruzioni della dominazione russa.
Finalmente Riga, città baltica con un nome fin troppo semplice confrontato a quelli impronunciabili incontrati lungo la strada: Ceraukste , Kundziņkrogs o Grenctāles Pienotava . Certo non è stato semplice raggiungerla. Un ultimo piccolo passo manca per completare il mio viaggio: raggiungere il mare, toccarlo, metterci i piedi, sentirne l’odore e il rumore. La città sorge sulle rive del Daugava, largo e trafficatissimo, si perde all’ orizzonte verso il mare e ti illude, sembra sfociare li a pochi passi proprio dietro al porto. Non sarà proprio così.
I lettoni interpellati sono tutti d’accordo: mancano ancora 20 chilometri per la prima spiaggia, per il tanto agognato Baltico. Non ci voglio credere, sembrava ad un passo, invece è ancora ad un ora di bici. Riparto, un ultimo temporale, strade con nomi improponibili, laghi pescosi ed infine una piccola cittadina verde, con villette disposte ordinatamente . La cartina dettagliata appena acquistata risulterà determinante.
Un paio di curve, un dosso boscoso e sullo sfondo il Baltico.
Percorro gli ultimi metri sulla sabbia bagnata, braccia al cielo, appoggio la bici ad una panchina solitaria, la battigia è deserta, mi dirigo verso il mare ed immergo i piedi nella fredda acqua del Baltico. E’ il 28 agosto, ci sono 17 gradi, la spiaggia è vuota. Due persone camminano in lontananza e un temerario fa il bagno. Una sensazione indescrivibile un momento atteso da mesi, desiderato, sognato e temuto. Sono finalmente qui, piedi a mollo, salsedine, onde, sabbia e conchiglie.
Ritorno a Riga per la visita del bellissimo centro storico; sarebbe un peccato non fare un giro per i ciottolati di Riga, visitare la torre della libertà e i vecchi palazzi colorati del centro. In realtà io sono già sazio, ho già goduto. Lascio Riga con l’immagine di un tramonto che si perde verso il mare, rosso, quasi caldo. Attraverso il ponte della Dulgava, la ricerca del campeggio è breve, la fine del viaggio è vicina. Anche Riga meritava più tempo e attenzione, ma il volo è prenotato per il giorno dopo, mi tocca partire subito e poi…. non c’è nemmeno la mia insegnante di inglese!
Volo Riga Bergamo
Conclusione: sto leggendo “Sostiene Pereira”. Il libro che ho portato con me per tutto questo viaggio, e che apro solo adesso per la prima volta. Come sempre accade in questi viaggi il tempo per dedicarsi alla lettura non lo trovo, ma partire senza un libro nella borsa sarebbe imperdonabile. Poi in realtà ogni viaggio è un libro, con una copertina già scritta, ma con le pagine che appaiono man mano, con una trama desiderata, ma con una storia nascosta, improvvisa e imprevedibile. Capirla prima non è possibile, capirla dopo non sempre è scontato, viverla è semplicemente un desiderio realizzato.