“Questa diga cambierà tutto nella valle del Vajont”. Mai profezia fu più azzeccata, nulla fu più come prima, l’acqua travolse anni di fatiche, paesi, tradizioni. Intere generazioni di contadini rimasero senza storia, le nuove generazioni rimasero senza radici.
Vajont 1963-2013
Il caldo soffocante che opprime queste giornate di Luglio non invita alla partenza, soprattutto se il percorso di giornata si snoda nella pianura che collega Bergamo a Verona, dove la temperatura sale ancor di più. In un contesto che non offre particolari spunti si spinge sui pedali alla ricerca di stimoli, che anche da queste parti non mancano mai.
Non c’è miglior incentivo di un buon bicchiere di vino. Attraversare le dolci colline della Franciacorta con i suoi vigneti famosi in tutto il mondo addolcisce la vista e la giornata. Si cambiano provincia e regione e si cambia bicchiere. Ora è la zona del Lugana, più avanti attraverso la zona di Custoza. Terra di vini e di battaglie risorgimentali.
Verona è invece la città degli innamorati, ma sotto al balcone di Giulietta non si può sostare in bicicletta. Non tutti gli amori sono quindi contemplati. L’ultima fatica di giornata è per raggiungere il campeggio cittadino, posto su una collina da dove la mattina seguente riprendo prima alla volta di Vicenza e più tardi Bassano del Grappa.
Questa volta evito l’abbinamento alcolico e punto diritto verso le prime rampe del monte Grappa. La salita è di quelle toste, dure lunghe e senza punti appoggio, almeno per la via che ho intrapreso quest’oggi. Per raggiungere la vetta e il sacrario della prima guerra mondiale esistono infatti diverse possibilità. Io salgo per la strada militare che parte da Semonzo.
Il caldo continua a soffocare, la strada stretta è per fortuna spesso ombreggiata. La pendenza è a volte arcigna e la cima fatica ad avvicinarsi. Sarebbe un errore sottovalutare i circa venti chilometri che conducono alla fine della salita e al vicino sacrario militare. Sarebbe invece un peccato non godere della splendida vista che si apre a pochi chilometri dalla fine delle fatiche.
La pianura padana appare infinita e più lontano posso immaginare che il blu del cielo si mescoli con quello del mare della laguna di Venezia. Discesa altrettanto lunga su Feltre dove la notte porta un temporale rinfrescante e riprendere a pedalare è meno impegnativo. Anche il paesaggio cambia e ora ci sono montagne ai lati, invece della pianura dei giorni passati.
La mattina dopo pochi chilometri mi ritrovo a pedalare subito accanto al Piave. Devo solo seguire a ritroso il corso del fiume. Prima Belluno, poi Ponte alle Alpi ed infine Longarone. Dal fondo valle si scorge, intatta, la diga. Lascio la strada per che conduce in Cadore e imbocco il bivio per Erto e Casso.
La salita è cieca, non regala anticipazioni. Solo verso la fine dopo alcuni tunnel e superato il confine con il Friuli appare la diga, imponente, e quel che resta del Monte Toc. Una parete bianca di roccia. Il resto, quello che poggiava sopra, è scivolato in acqua, creando morte e distruzione. Era il 9 ottobre 1963.